Smart Working: una misura da adottare in casi di emergenza, come il Coronavirus

Smart Working: una misura da adottare in casi di emergenza, come il Coronavirus

 

Dal 21 febbraio il Coronavirus ha varcato i confini del nostro paese e lo Smart Working nelle aree colpite dall’epidemia (Lombardia e Veneto) è diventata la misura adottata da moltissime realtà italiane per cercare di ridurre al minimo le possibilità di contagio con responsabilità sociale, pur portando avanti le proprie attività.

Come ha sottolineato Mariano CorsoResponsabile Scientifico dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, «lSmart Working non può essere la soluzione per “bloccare” l’epidemia ma, con l’impegno di tutti, può rappresentare una misura per ridurre rischi, attenuare disagi e contenere gli enormi danni economici e sociali che questa emergenza rischia di causare. lavoratori, e soprattutto coloro che sono già Smart Workers, devono restituire il credito di fiducia dimostrando autonomia, impegno e senso di responsabilità».

Dopo il maxi esperimento di Smart Working della Cina, adesso anche in Italia per arginare il dilagare del Corononavirus si ricorre quindi al lavoro agile, che grazie a un decreto attuativo approvato d’urgenza applicabile da subito, anche senza un accordo preventivo con i dipendenti (così come richiede invece la Legge sul lavoro Agile del 2017). In particolare, il decreto attuativo del 23 febbraio 2020 n. 6 – recante le misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2 (è questa la sigla ufficiale che indica il Coronavirus, ndr) che causa la malattia COVID-19 – ha previsto “la sospensione delle attività lavorative per le imprese […] ad esclusione di quelle che possono essere svolte in modalità domiciliare ovvero in modalità a distanza”.  Come si legge sul testo pubblicato in Gazzetta ufficiale, la decisione è stata presa dalla Presidenza del Consiglio “ritenuta la straordinaria  necessità e urgenza di emanare disposizioni per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19, adottando misure di contrasto e contenimento  alla  diffusione  del predetto virus”.

Un numero sempre crescente di aziende ha via via chiesto ai loro dipendenti di limitare le trasferte di lavoro e lavorare in Smart Working, utilizzando gli strumenti di collaboration a loro disposizione (tra le prime A2A, Ibm, Intesa San Paolo, Pirelli, Salini Impregilo, PwC, KPMG, Luxottica, Enel, Eni, Saipem, Snam, Vodafone). Oggi, a seguito delle successive disposizioni attuative del Governo varate per contenere e gestire l’emergenza epidemiologica da COVID-19, ormai quasi tutte le realtà italiane hanno adottato forme di Smart Working. In particolare il DPCM dell’8 marzo recita all’articolo 2, comma 1, lettera r:  “la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, puo’ essere applicata, per la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020, dai datori di lavoro a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti; gli obblighi di informativa di cui all’art. 22 della legge 22 maggio 2017, n. 81, sono assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro”.

Infine, il DPCM dell’11 marzo raccomanda che “in ordine alle attività produttive e alle attività professionali sia attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza”.

Come rileva l’indagine “Infojobs Smart Working 2020” – realizzata a marzo 2020 su un campione di 189 aziende e 1149 candidati – il 72% delle aziende ha messo a disposizione in tempi brevi mezzi e strumenti per permettere ai collaboratori di proseguire il lavoro da remoto, inoltre per poco più della metà delle aziende che hanno che hanno attivato lo Smart Working (56%) questo è stato il primo test in assoluto. Il 64,5% delle aziende ha dichiarato che i dipendenti hanno apprezzato questa decisione, che non ha avuto contraccolpi sulla produttività (39%), o ne ha avuti ma in maniera limitata (25,5%). Guardando alle criticità riscontrate, innanzitutto spiccano i problemi di tipo organizzativo (44%) per mancanza di supervisione e controllo sul lavoro del personale, e di tipo relazionale (42%), a mancare è il confronto quotidiano e il lavorare fianco a fianco. La tecnologia è stata indicata, invece, solo dal 14% delle aziende, ovvero da quelle che hanno risposto all’emergenza ma non erano preparate a gestirla a livello di strumenti e competenze interne.

Guardando ai lavoratori, il 79% ha dichiarato di averlo adottato per la prima volta, mentre per il 14,5% sono solo cambiate le modalità di fruizione e per il 6,5% non c’è stato alcun cambiamento rispetto a prima.

Il 38% del campione intervistato si è dichiarato fortunato di poter evitare gli spostamenti in questo momento, mentre il 27% sta apprezzando il fatto di avere a disposizione un ufficio “virtuale” dove è possibile continuare a lavorare come prima. Solo il 7% ha detto di essere meno produttivo (in questo caso la principale causa sono gli impegni familiari da gestire in contemporanea): nel caso di donne con figli a casa la percentuale sale al 33%.

Anche in ambito PA, il Governo ha emanato un decreto legge (n.6 del 23 febbraio 2020) che incentiva e agevola l’accesso allo Smart Working. La cosiddetta Direttiva Dadone (che prende il nome della ministra della Funzione pubblica, Fabiana Dadone, ndr.) stabiliva, infatti, che il Lavoro Agile era “applicabile in via automatica ad ogni rapporto di lavoro subordinato nell’ambito di aree considerate a rischio nelle situazioni di emergenza nazionale o locale nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni e anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti”. Oggetto del decreto una spinta sul Lavoro Agile in favore del personale complessivamente inteso e sul lavoro flessibile con un occhio di riguardo per i dipendenti delle PA affetti da patologie pregresse, che usano i trasporti pubblici o che hanno carichi familiari ulteriori connessi alle eventuali chiusure di asili e scuole dell’infanzia. “Stiamo mettendo in atto tutte le misure che servono a bilanciare l’imprescindibile esigenza di proteggere la salute e garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro con la necessità di mandare avanti la complessa macchina dello Stato e di assicurare i servizi essenziali”, ha detto la ministra della Funzione Pubblica, Fabiana Dadone. Misure quelle della Direttiva Dadone che oggi, con il Decreto Cura-Italia, varato dal governo, vengono rafforzate: il lavoro agile diventa la regola nella PA per tutta la durata dell’emergenza. “Lo avevamo scritto su direttive e circolari, ma per rafforzare il vincolo nei confronti delle amministrazioni, come promesso, lo abbiamo messo anche nel decreto – ha sottolineato la ministra su Facebook –. Fino alla fine dell’emergenza Coronavirus, lo Smart Working, cui si può far ricorso in modo semplificato e persino con strumenti del dipendente, è la forma ordinaria di svolgimento della prestazione nelle PA. In ufficio le presenze vanno limitate esclusivamente alle attività indifferibili e che non si possono svolgere da remoto”.

In questo scenario, numerose aziende hanno messo a disposizione soluzioni e servizi per aiutare le organizzazioni a introdurre lo Smart Working e vivere questo particolare frangente come un’opportunità per sperimentare nuovi metodi di lavoro, nuovi strumenti e canali digitali, pur nella sua criticità e complessità. È quanto ad esempio è accaduto con “Solidarietà Digitale“, l’iniziativa lanciata dal Ministro per l’Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione in collaborazione con Agid, e con lo “Smart Working Emergency Kit” progettato da Digital360 con l’obiettivo di supportare velocemente le organizzazioni nell’adozione corretta del lavoro agile, dal punto di vista giuslavoristico, organizzativo e tecnologico, con percorsi formativi ad hoc per aiutare le persone a migliorare le modalità di lavoro a distanza. Il kit prevede infatti: una survey per fare il check-up sui processi, le modalità di lavoro e l’interazione tra le persone; un supporto consulenziale online per le direzioni HR e i comitati di crisi multidisciplinare (si va dai processi al change management, dai temi giuslavoristici a quelli di security); un percorso online con 26 video multidisciplinari (ad esempio si parla della leadership smart, dei comportamenti smart e delle attenzioni da avere sul tema Coronavirus); dei webinar interattivi.

Ma non finisce qui, perché, per esempio, per agevolare le imprese lombarde nell’adottare il Lavoro Agile, Regione Lombardia ha indetto un bando che stanzia 4,5 milioni di euro per la promozione dei piani di Smart Working. Si tratta di finanziamenti a fondo perduto. Possono fare domanda le imprese regolarmente iscritte alla Camera di Commercio di competenza, oppure i soggetti, in forma singola o associata, in possesso di partita IVA, con unità produttive /operative in Lombardia e un numero di dipendenti almeno pari a 3, non ancora in possesso di un piano di Smart Working regolamentato o del relativo accordo aziendale.

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